

Fondo Jona-Liberovici
Il Fondo Emilio Jona - Sergio Liberovici rappresenta la vasta ricerca sul campo in Italia e all'estero frutto del lungo sodalizio culturale dei due ricercatori, ha carattere etnografico, etnomusicologico, antropologico, storico, socio-politico, linguistico ed è stato realizzato tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta, si tratta di uno dei maggiori fondi sonori del genere in Italia e comprende alcune delle prime campagne di ricerca in Italia sul campo.
Molto è stato registrato in Piemonte e Toscana, ma campagne di ricerca sono state effettuate in quasi tutte le regioni italiane, nonché in Spagna, Francia, Svizzera, Tunisia, Algeria, SenegaIl, Kenya, Nepal.
L'entità del fondo è di circa 600 nastri, per un totale di oltre 480 ore di registrazione digitalizzate in 607 CD audio mentre il fondo cartaceo consta di 583 unità archivistiche, con estremi cronologici dal 1953 al 1991, suddivise in 45 faldoni.
Particolare importanza rivestono per la loro eccezionalità le registrazioni sul campo di canti della rivoluzione algerina effettuati in Tunisia e Algeria nel 1960 e di canti antifranchisti in Ispagna nel 1961, da cui sono stati tratti dischi e libri.
In estrema sintesi le registrazioni riguardano:
il canto di monda, il canto della tradizione popolare contadina e urbana, il canto politico-sociale nelle sue varie componenti: socialista, anarchiche, di protesta, sulle guerre dal Risorgimento alla Grande Guerra, sino a quelle fascista e della Resistenza, e poi la cultura operaia, il movimento studentesco e le manifestazioni e le proteste di piazza nel secondo dopo guerra, nonché spettacoli teatrali (realizzati dagli stessi ricercatori con l'utilizzo di materiali di ricerca e testimonianze dirette); registrazioni di musica di tradizione popolare (contadina e urbana); carnevali alpini; sacre rappresentazioni; paesaggi sonori, documenti storici vari.
L'archivio sonoro comprende inoltre il fondo Cantacronache; copia di alcune registrazioni di Ernesto de Martino, tra cui le lamentazioni funebri lucane; il fondo Antonio Ayala (1901-1963), costituito da rare e importanti registrazioni sul campo nella Sicilia degli anni Cinquanta, riguardanti canti e musiche di tradizione orale religiosa (compresi i canti della Passione); il fondo Pier Paolo Sancin e Claudio Noliani sul canto tradizionale friulano, registrato tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta. Comprende inoltre le ricerche sul campo che Liberovici, a volte accompagnato da Jona, ha realizzato per la RAI e il Centro Nazionale di Studi di Musica Popolare (CNSMP), oggi Archivi di Etnomusicologia dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Esse sono la Raccolta 028 in Valle d'Aosta nel 1956, la Raccolta 100 nel Monferrato astigiano e alessandrino nel 1966; la Raccolta 111 nel biellese e canavese del 1967, la Raccolta 113 in Valle Grana (CN) nel 1967, sempre nel 1967 la Raccolta 114 sull'Altopiano di Asiago e la 115 di nuovo in Piemonte e la Raccolta 117 in Polesine nel 1968.
Nella introduzione storica di descrizione dell'archivio, nel 2001 Emilio Jona scriveva:
“Sergio e io avevamo pochi anni di differenza (3 per l'esattezza) e ci conoscevamo, fin da bambini, negli anni '40, perché, cacciati entrambi dalle scuole fasciste del Regno, frequentavamo a Torino la stessa scuola privata ebraica; ci ritrovammo poi, casualmente, molti anni dopo nel 1958, quando insieme ad altri amici (Fausto Amodei, Michele L. Straniero, Giorgio De Maria, a cui si aggiunsero Italo Calvino e Franco Fortini), scendemmo in guerra contro la canzone di Sanremo e creammo con Cantacronache una canzone, non gastronomica, che si proponeva di "evadere dall'evasione". Essa ebbe un certo successo e una qualche importanza nel nostro paese per la nascita di una nuova canzone, quella dei cantautori. (…) Da quell'impegno nacque il nostro sodalizio culturale di cui questo archivio reca la traccia. Infatti ciò che ci interessò e ci colpì in quegli anni, scrivendo canzoni e cantandole in giro per l'Italia in circoli, associazioni culturali, meetings politici, feste popolari della sinistra, fu la restituzione, da parte del pubblico operaio e contadino a cui ci rivolgevamo, di altre canzoni che emergevano dalla memoria, sollecitate dalle nostre e in loro risposta. Imparammo così a frequentare e a conoscere un mondo, quello dell'oralità popolare poco seguito dai colti, in questa sua parte così intrisa di vissuto, così poco evasiva e così legata alla storia politica e sociale delle classi subalterne nel momento in cui esse, sul finire dell'800, avevano cominciato a prendere coscienza di sé e a battersi per una maggiore giustizia sociale e un'effettiva uguaglianza. Cominciammo allora a studiare quel mondo, a collaborare alla sua emersione, a rimetterlo in circolazione in quelli che erano i suoi valori espressivi, lingua, dialetti, storie. Ciò avvenne su due versanti quello del suo studio antropologico-letterario, storico-sociologico e musicale, traducendo, tramite il registratore, l'oralità in scrittura e nella sua lettura critica e quello della riappropriazione di quell'espressività popolare facendola diventare una sorta di contemplazione e di autorappresentazione drammaturgica e spettacolare. (...). Da qui sono nati saggi, libri, dischi non solo sul canto popolare sociale italiano, ma anche su canti di altri paesi del mondo (la Spagna, l'Algeria, Cuba, l'Angola) nonché testi radiofonici (su Giacomo Matteotti e Gaetano Bresci) e testi teatrali, alcuni dei quali ebbero una certa fortuna negli anni '70 e molte rappresentazioni qua e là per il paese. Cito quelli più importanti Il 29 luglio del 1900, che è un testo su Gaetano Bresci e la storia del regicidio (da lui commesso) di Umberto I, attraverso un puzzle di documenti e interviste, che ci fa scoprire e raccontare una storia diversa di quegli eventi, più veritiera di quella ufficiale; Per uso di memoria, che è un'azione drammaturgica e un percorso sulla Resistenza in Toscana, non agiografico, che anticipava per certi versi la pavoniana ricerca sulla moralità della Resistenza; L'ingiustizia assoluta, che è un cammino attraverso la condizione operaia torinese, tra i grandi scioperi dell'autunno caldo e le morti per cancro all'Ipca di Ciriè, in un confronto serrato tra i fatti e i grandi testi teorici del marxismo; E' arrivato Pietro Gori, anarchico pericoloso e gentile, che è una ricostruzione della vita del celebre avvocato e dirigente anarchico tra Otto e Novecento, mettendo a confronto linguaggi e punti di vista diversi, quello della memoria popolare del personaggio, quello della sua autorappresentazione e quello della burocrazia amministrativa e poliziesca che lo perseguitava”.
Della documentazione cartacea è stato predisposto un inventario dettagliato QUI allegato.